Cigognola. Un piccolo comune abbastanza oscuro in quello che è noto come l’Oltrepò Pavese, un altrettanto oscuro tratto della Lombardia vicino al confine con l’Emilia-Romagna. Per arrivarci, guidi più o meno verso sud da Milano per un’ora, attraverso un terreno soporifero nella sua monotonia: piatto, piatto, piatto… finché all’improvviso non lo è più, e la massa dell’Appennino Ligure si materializza in modo da brivido fuori dall’orizzonte. Là, ai piedi delle colline nebbiose, c’è questo posto minuscolo, segnato dalla solida torre quadrata di mattoni di un castello, le sue feritoie di parapetto appena distinguibili dalla strada sottostante.
Come molti di questi castelli in Italia, Castello di Cigognola ha fondamenta risalenti al XIII secolo. Le fortificazioni raccontano la sua originaria funzione di torre di avvistamento, collocata strategicamente in quella che un tempo era una frontiera selvaggia, per monitorare il viavai commerciale lungo l’antica via Emilia. L’attuale castello, invece, è ben più nuovo e confortevole: un progetto di passione neogotica, commissionato dall’aristocratico proprietario di Cigognola, don Carlo Arnaboldi Gazzaniga, a metà dell’Ottocento. Arnaboldi invitava i luminari dell’epoca, dai poeti (Eugenio Montale) ai politici (il venerato senatore e statista napoletano Benedetto Croce), per scambiare idee e godersi i suoi vini e la sua coltivazione, ai margini della natura selvaggia.
Quasi 200 anni dopo che il conte Carlo ha riempito il suo salotto con i grandi pensatori della sua epoca, la prossima generazione sta esplorando i modi per riportare le iterazioni del 21° secolo di quella tradizione al castello e ai suoi terreni. L’attuale proprietario Gabriele Moratti ha ereditato Cigognola dal defunto padre Gian Marco Moratti, scomparso nel 2018. L’anziano Moratti ha acquistato il castello nel 1981 dal padre della sua seconda moglie, la madre di Gabriele Letizia Moratti – ex sindaco di Milano e presidente della emittente RAI.
Negli ultimi quattro anni, Gabriele Moratti e la sua compagna, la ballerina francese Emilie Fouilloux, hanno tranquillamente fatto rivivere la storia dello scambio culturale del castello: tra spettacoli dal vivo, cibo e vino e mondo accademico. Insieme hanno iniziato a creare la propria tradizione estiva, incorporando di tutto, dal balletto ai discorsi di filosofia che arruolano luoghi storici nelle città vicine. È quella che Moratti definisce “un’espressione olistica dello spirito di questo luogo” e un modo, dice, “di condividerlo con altri che ne racconteranno la storia, mantenendo viva quella storia e scrivendo la parte successiva”.
Moratti, 44 anni, è un poliedrico professionista: un produttore cinematografico (il suo progetto più recente è stato il Luca Guadagninofilm diretto Ossa e tutto), un fashion VC (ha seminato il marchio di abbigliamento filantropico con sede a Milano Redenzione) e, grazie al coinvolgimento della sua famiglia con la multinazionale dell’energia Saras, nel cui consiglio siede, un ex dirigente petrolifero. Ha aggiunto l’enologo alla lista quando ha ereditato la tenuta. (Da astemio, non gli sfugge l’ironia della vocazione: «Ero un po’ sorpreso che mio padre [a collector of fine wines, who had enthusiastically rebooted Cigognola’s production in the ’90s with the help of famed oenologist Riccardo Cotarella] ha lasciato il castello all’unico dei suoi quattro figli che non beve. Ma poi, era in linea con il suo senso dell’umorismo”, dice con un sorriso.)
Nonostante le occupazioni del jet set e le coordinate della sua vita adulta, l’infanzia di Moratti è stata semplice, in gran parte trascorsa nelle zone rurali di Reggio Emilia, nel centro Italia. I suoi genitori erano mecenati di spicco della comunità di San Patrignano, il centro di riabilitazione non lontano da Rimini dove i tossicodipendenti in recupero vivono sul posto per anni, imparando mestieri artigianali e lavorando nel suo laboratorio di design molto rispettato. Moratti vi trascorse gran parte dei primi 12 anni della sua vita, immerso nel sistema di valori e nella cultura privilegiata delle cose fatte a mano. Ancora oggi, quando non è a Cigognola oa Milano, vive prevalentemente a San Patrignano. Ricorda la sensazione del castello, al confronto, “come dormire in un bellissimo museo” in gioventù e, aggiunge, “è stato sicuramente il luogo che ha plasmato la mia idea di bellezza”.
Ciò che accomuna San Patrignano a Cigognola è un nome leggendario nel mondo degli interni: il compianto Renzo Mongiardino, il prolifico architetto e scenografo spesso definito il più grande designer del ‘900. Alla fine degli anni ’70, su invito di Gian Marco e Letizia Moratti, era diventato anche lui patrono di San Patrignano; molti degli straordinari design di carta da parati e tessuti che ha creato nel corso degli anni, prodotti dal suo Design Lab, ora appartengono agli archivi della comunità. Quando nel 1982 un incendio provocò gravi danni in più parti di Cigognola, i Moratti chiesero aiuto a Mongiardino per restaurarlo, e ne seguì un completo restauro.
Una passeggiata attraverso il castello è un’inebriante immersione nel genio di Mongiardino: il desiderio dell’ideatore di scene e set cinematografici di creare atmosfere e deliziose illusioni ottiche si irradia dai dettagli. Motivi stampigliati a mano sfilano lungo le pareti monocromatiche giù per le scale e le sale di servizio. Le ampie porte sono intarsiate e incorniciate da monumentali lastre di “marmo” che marmo non sono, ma carta da parati lavorata a mano. La boiserie è dipinta per sembrare il tessuto sbiadito dal sole più naturale, dagli stessi scenografi con cui Mongiardino ha lavorato alle grandi opere. Lo straordinario soffitto del soggiorno principale combina non meno di 12 motivi di design discreti, in uno schema deliziosamente grazioso che si incastra attorno a quadrati di pannelli di quercia completamente disadorni. Paisley, jacquard, suzani, chintz e chinoiserie sono tutti presenti, mescolati in modo esuberante. Anche il più umile tappeto in sisal assume un carattere sgargiante con meticolose stencil rosso intenso e verde.
Trascorro una giornata al castello con Fouilloux, esplorando ogni scala nascosta, angolo e terrazza. Mi mostra una stanza degli ospiti tappezzata di più di due dozzine di rappresentazioni in vetro dipinto della Madonna col Bambino – alcune semplici, altre di qualità museale – che erano uno dei pezzi da collezione preferiti della bisnonna di Gabriele. Ammiriamo la vasta biblioteca dell’ultimo piano di Gian Marco Moratti, rivestita in noce brunito, con la sua terrazza in mattoni appena sotto il parapetto della torre: la vista, addolcita da una foschia perlacea, spazia a nord attraverso la pianura del fiume Po fino a Milano e a sud nelle montagne.
In una sala al piano inferiore (un tempo sala d’attesa per il ricevimento dei dignitari e oggi sede di un tavolo da biliardo), stemmi di famiglia dipinti risalenti a diversi secoli sono stati incorporati in nuovi rivestimenti in legno. Sulle pareti superiori, il ricco motivo a stelle su fondo blu intenso ricorda i soffitti delle cattedrali del primo Rinascimento. Il salotto attiguo – ora ufficio condiviso di Moratti e Fouilloux – è arredato con scrivanie ricoperte di disegni di etichette, libri vintage e riviste per l’ispirazione, un enorme pianoforte a coda ebanizzato e una batteria Roland completa (Moratti suona la batteria, così come la chitarra ).
Sorseggiando sencha accanto al fuoco in un accogliente salotto al piano terra, Fouilloux e io parliamo dell’aspirazione della coppia a creare consapevolezza nel loro angolo di Lombardia. «Gabriele ha una teoria sul perché l’Oltrepò non sia una regione così conosciuta», dice. “Da Milano lo è pianura [plains] che vanno avanti così a lungo che le persone semplicemente… si arrendono! Pensano di aver visto tutto ciò che ha da offrire. Solo un po’ più in là, dice, e troverebbero le montagne, l’incantevole città medievale di Pavia – e altri vigneti, continua, osservando che molti dei loro vicini producono vini interessanti che meritano più attenzione, mentre pranziamo a casa- lasagne cotte ai carciofi e insalate, e bere l’ottimo Pas Dosé blanc de noirs di Moratti. Tra coloro che Fouilloux ha convertito al fascino di Cigognola ci sono l’interior designer Pierre Yovanovitch e l’artista Claire Tabouret, entrambi suoi amici dai tempi parigini (“Pierre era come un bambino, così entusiasta, che faceva tutte queste domande. Ora è interessato a lavorare con San Patrignano”).
I precedenti eventi del festival estivo, osserva Fouilloux, erano solo un punto di partenza. “Abbiamo avuto la serata del Balletto dell’Opera di Parigi, una serata jazz in un’altra e l’orchestra da camera dei Cameristi della Scala di Milano”, ricorda. “Era grande, lungo pochi giorni e ambizioso, ma forse non così dinamico o coinvolgente come avremmo potuto fare.”
Per il 2023 la coppia ha snellito e ampliato i programmi: snellito, in quanto lo spettacolo (solo su invito) durerà una sola sera il 17 giugno, e ampliato in quanto unirà tutti gli elementi precedenti – danza, musica, degustazioni e, naturalmente, il castello stesso in una vetrina itinerante di più ore e più sedi. Ballerini dell’Opera di Parigi si esibiranno a intervalli in vari giardini e prati, tra degustazioni di vini e cene. Tra gli altri intermezzi musicali, un violoncellista solista riempie il lungometraggio. “In una compagnia di balletto, raramente riesci a interagire con i musicisti”, dice Fouilloux. “Quindi è molto bello collaborare strettamente in questo modo. È una connessione più organica.
Intanto si guarda a maggio 2024, quando Cigognola ospiterà il suo primo ritiro con Yoga per persone cattive (la dichiarazione d’intenti dei fondatori Katelin Sisson e Heather Lilleston è: “Siamo persone normali. Vogliamo divertirci. E ci piace lo yoga”). Quella missione, calcola Fouilloux, si sposa perfettamente con ciò che Cigognola ha da offrire: cibo sano, buon vino e dintorni magici. Sarà la prima volta nella sua storia che Cigognola aprirà agli ospiti paganti, ma è difficile immaginare che sarà l’ultima.
—————————————————-
Source link